IDENTITA' ITALIANA TRA EUROPA E SOCIETA' MULTICULTURALE

Il convegno

Il programma

La logistica

La documentazione

Introduzione e News

Organizzatori

Iscriviti

Ringraziamenti

La documentazione

 

IDENTITA’ ITALIANA TRA EUROPA E SOCIETA’ MULTICULTURALE

 

Siena, 12 - 14 dicembre 2008

 

Hanno partecipato al convegno in qualità di relatori:

 

 

Laura Balbo

Sociologa, insegna all’Università di Padova. Nota per aver compiuto studi sui processi della razzializzazione/etnicizzazione della società europea in previsione di un futuro mescolamento delle razze, ha partecipato a numerosi gruppi di lavoro europei su questi temi. E’ presidente dell'International Association for the Study of Racism (Amsterdam) e di Italia-Razzismo (Roma). E’ stata Ministro per le Pari Opportunità dal 1998 al 2000.

 

Guiderà il Workshop (in collaborazione con la prof.ssa Geneviève Makaping docente di Antropologia culturale dell'Università della Calabria)

L’emergere della questione razziale in Italia

 

Abstract

Forse è sul riemergere della questione razziale che dobbiamo riflettere. E' in questa prospettiva che oggi ci si interroga su questo dato: permane, o ritorna, dopo eventi storici pesantissimi, dopo autocritiche e commemorazioni e ripensamenti, appunto la "questione razziale" - in Europa, negli Stati Uniti, in altre parti del mondo segnate dall'esperienza coloniale, dai conflitti etnici, da pesanti interessi economici-. Dunque questa occasione per mettere a fuoco questo specifico elemento entro il tema generale dell'identità europea; ma anche per portare lo sguardo su processi e problemi della "globalizzazione". Contributi sul ruolo dei media, le politiche, il "discorso pubblico", le pratiche quotidiane: tutti questi (e altri) approcci dovrebbero essere considerati (meglio, ri-considerati, rispetto ad analisi e letture consolidate e anche importanti proposte negli anni passati). Prospettare lo "scenario futuro" con piena consapevolezza dei processi in atto: su questo è necessario impegnarsi.

 


Ulderico Bernardi

Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali nel dipartimento di scienze economiche dell'Università Ca' Foscari di Venezia.I suoi studi riguardano la persistenza culturale nel mutamento sociale, che ha indagato nell'ambito delle minoranze etniche, nelle comunità contadine investite dalla industrializzazione, nelle colonie di emigrati veneti in America latina, nell'America del nord ed in Australia.

 

Guiderà il Workshop

Le minoranze culturali in Italia

 

Abstract

La nazione italiana è l'esito delle sue differenti culture. Alcune, secondo Tommaseo, si costituirono a ponte fra civiltà continentali e mediterranee. Le Alpi e il mare, infatti, mai furono barriere allo scambio e all'insediamento d'altri popoli. Preziose testimonianze degli antichi insediamenti ancora si mantengono, nonostante tutto. Questa storica ricchezza di diversità determina la persistente vivacità creativa del Paese, che si riconosce nei valori espressi da uno straordinario patrimonio di beni culturali. La conoscenza dell'originale multiculturalità italiana diventa condizione per accedere al valore dei processi interculturali in atto nel mondo contemporaneo.

 

 

Remo Bodei

Docente di filosofia presso la University of California (Los Angeles), tiene anche lezioni presso l’Università di Pisa. Attraverso la ricostruzione storica e teorica delle filosofie dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica, si è occupato di questioni estetiche, di pensiero utopico e di forme della temporalità nel mondo moderno. Attualmente i suoi studi si concentrano intorno al discorso delle passioni, delle forme della memoria e dell’identità individuale e collettiva.

 

Guiderà il Workshop

Identità italiana e multiculturalismo

 

Abstract

Negli affreschi sul Buon Governo del Palazzo Pubblico di Siena Ambrogio Lorenzetti ha rappresentato la virtù della concordia attraverso l’immagine di cittadini che sostengono insieme una corda. Per quanto la spiegazione etimologica sia evidentemente sbagliata (nel senso che il termine “concordia” viene da cor-cordis e indica il battito dei cuori all’unisono), la nozione di reggere la stessa corda rinvia alla partecipazione a un’impresa cui tutti sono legati da un interesse comune.
In questo stesso affresco, sopra la città compare anche un angelo, caratterizzato dalla scritta Securitas (sicurezza). Accanto a lui vi è un cartiglio che dice “Senza paura ogni uom franco cammini”. Nella città ben ordinata armonia e sicurezza procedono insieme.
La concordia permette alla collettività di durare, evitandole di venir dilaniata dai conflitti interni ed esterni. Che la politica debba essere basata sull’armonia (termine che, nel greco antico, indicava originariamente l’incastro perfetto delle parti in legno che componevano l’intera nave) significa che i cittadini devono collaborare, incastrare le loro funzioni formando un tutto.
Questa collaborazione deve tuttavia avere per criterio la giustizia, non solo nel senso di attribuire a ciascuno il suo, ma come suona l’articolo 3 della nostra Costituzione, nel “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
La compattezza e l’armonia dei cittadini appaiono oggi a molti insidiate dal flusso ingente di migranti di diversa lingua, cultura e religione. Ogni guerra civile o internazionale, colpo di Stato, mutamento di regime o di rapporti di forza, ogni cataclisma, carestia o forma di miseria e insicurezza endemica ne rovescia un numero ingente, come di naufraghi sulle spiagge. Diversi paesi stanno sperimentando l’arrivo in massa di sans papiers, di stranieri e apolidi provenienti da ogni angolo del pianeta. Molti sono più o meno intenzionalmente privi di documenti, così che non è possibile respingerli ai loro paesi d’origine, qualora dovessero accettarli di nuovo. Questi indocumentados o illegal aliens hanno cancellato o perduto la loro identità personale e abbandonato quel minimo di protezione garantita dalle loro precedenti appartenenze. Si sono resi ufficialmente invisibili e introvabili, non persone.
Di profughi, di deportati, di fuggiaschi, di esiliati, di migranti il mondo è anche oggi, letteralmente, pieno. Essi restano spesso storditi, stupiti, disorientati nell’arrivare alla loro meta: non si rendono conto immediatamente di dove sono e del perché vi sono. Trapiantati in un terreno nuovo, in un universo di differenze sempre riproposte, i migranti tendono a mimare la patria perduta, a riunirsi assieme per riprodurre nel cibo, nelle abitudini e nei discorsi il mondo che hanno dovuto lasciarsi alle spalle e per parlare e pensare nella propria lingua. Per comprenderne i problemi, per procedere a un’integrazione (che non significa né assimilazione né ghettizzazione) occorre rivivere in noi stessi i traumi della separazione. La vita di ciascuno di noi sperimenta continuamente la separazione: dal corpo della madre, dai genitori, dagli amici, da noi stessi come eravamo nel passato. L’esistenza individuale e sociale è un alternarsi di separazioni e ricongiungimenti, di fratture e di saldature, di addii del passato e di scoperte del nuovo. Siamo incessantemente come potati da noi stessi e dagli altri, dalla casa natale e dalla patria, isolati, sospinti nell’interiorità, levigati o resi aspri dal dolore del distacco.
Come può l’Unione Europea comprendere e accogliere milioni di persone senza perdere la sua identità, peraltro ‘a grappolo’, molteplice, espansiva? L’Europa comunitaria si è recentemente arricchita di altri dodici paesi, dieci dell’Europa centro-orientale e due mediterranei. In questo modo, da un lato, si sanerà una frattura storica che ha attraversato come una ferita il suolo europeo con la cosiddetta “Cortina di ferro”, dall’altro si aprirà un rapporto ancora più intenso con il Mediterraneo. Con i suoi 470 milioni di abitanti e la sua estensione dal Circolo polare artico a Malta e dalle Azzorre a Cipro, rappresenta una potenza economica e, in prospettiva, politica di prima grandezza, anche per il suo sforzo di rafforzare entro i propri confini quel regime “mite” che è la democrazia, stabilendo rapporti più attivi con altre parti del mondo, facendosi carico di crisi e difficoltà globali.
In Italia, tradizionale paese di emigranti, l’immigrazione ha portato lo “straniero” a condividere il nostro stesso spazio e i nostri problemi. Ciò che era esotico e lontano è ora vicino, sta fra noi e con noi. Non vale rifugiarsi nella posizione che Dante esprimeva a proposito della sua Firenze, dove già “lo villan d’Aguglione e quel di Signa” erano degli estranei pericolosi: “sempre la confusione de le persone / principio fu del mal de la cittade”. Oggi questo isolamento è finito e i “piccoli mondi chiusi” vanno scomparendo. I mezzi di comunicazione di massa, materiali (treni, navi, aerei) e immateriali (radio, televisione, internet) inseriscono ogni luogo in una rete globale che condiziona l’economia, la società e la cultura. Il russo termine mir, che significa, insieme, villaggio e mondo - perché l’orizzonte del villaggio era per le vecchie generazioni il loro mondo – rimane come un fossile di forme di vita estinte.
La retorica della globalizzazione e del multiculturalismo ci impedisce spesso di cogliere la complessità delle questioni che essi pongono, dei vantaggi e degli svantaggi. Solo un atteggiamento sobrio e responsabile aiuta a rendersi conto delle distorsioni subite dalle precedenti forme di vita, degli squilibri economici e sociali, degli spostamenti di massicci blocchi di potere, nonché dei relativi sentimenti e risentimenti che ogni grande processo innovativo inevitabilmente introduce e comporta.
Nelle Città invisibili Italo Calvino distingue due tipi di città: “quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”. Tutti noi vorremo vivere nel primo tipo di città, quella che realizza i desideri dei cittadini e li plasma, ma – purtroppo – questo ideale è sempre stato difficile da raggiungere.

 

 

Omar Calabrese

Critico ed esperto della comunicazione, è docente di teoria della comunicazione all'Università di Siena e di semiotica in quella di Milano. Primo presidente della fondazione "Mediateca", è stato condirettore della rivista "Alfabeta" e svolge una intensa attività pubblicistica e giornalistica presso i maggiori quotidiani italiani.

 

Presenterà la relazione introduttiva del convegno su:

I segni dell’identità italiana



Roberto Cartocci

Docente di metodologia della scienza politica presso l’Università di Bologna. Fa parte del Consiglio Direttivo della Fondazione Istituto Carlo Cattaneo di Bologna, che ha diretto dal 1994 al 1997 e per la quale ha svolto recenti ricerche sul capitale sociale. I suoi interessi di ricerca si sono concentrati sulle tecniche di rilevazione e analisi degli atteggiamenti, sulla cultura politica degli italiani, sul comportamento elettorale, sulla geografia elettorale e sulla nozione di capitale sociale.


Guiderà il Workshop

Come si distrugge l’identità italiana

 

Abstract

Dopo una rimozione di quarant’anni, il tema dell’identità degli italiani è riemerso nel dibattito pubblico e nella riflessione scientifica verso la fine degli anni ’80, in seguito alla nascita della Lega Nord. Il ricco dibattito che ne è seguito da un lato mirava a contrastare la tesi leghista di un’identità separata, dall’altro metteva in evidenza le particolarità del caso italiano, come la tardiva unificazione politica.
In entrambi i casi il problema viene visto solo in una prospettiva rivolta al passato, presupponendo un’idea “solida” di identità collettiva: identità come eredità.
Invece, al pari di ogni elemento del patrimonio culturale, anche le identità collettive hanno una natura fluida, e dunque tendono a trasformarsi, a rigenerarsi o a logorarsi.
Si apre così lo spazio per riflettere sui concreti processi che nell’Italia di oggi logorano e indeboliscono il senso condiviso di una comune appartenenza – e la conseguente obbligazione morale verso gli altri.
Globalizzazione, integrazione europea e immigrazione appaiono a prima vista i maggiori indiziati. Ma non è certo minimo il ruolo svolto dalle istituzioni (e dalla politica che attraverso le istituzioni agisce) nel logorare e indebolire la nostra identità collettiva. Dato il peso che le istituzioni politiche e le agenzie del welfare (cioè, complessivamente, lo stato) hanno nel condizionare la vita quotidiana e le biografie individuali, è a queste che occorre guardare oggi per individuare gli strumenti della costruzione, o della distruzione, della nazione – termine che, non a caso, continua ad avere un suono sospetto per molti italiani.

 

 

Ida Castiglioni

Docente di comunicazione interculturale presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Milano - Bicocca e presso l'Istituto di comunicazione interculturale di Portland. Insegna inoltre presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Milano e nel Mater interuniversitario in analisi e gestione di progetti di sviluppo. E' consulente di formazione e progettazione interculturale per vari enti profit e non -profit in Italia e all'estero.

 

Guiderà il Workshop

I valori degli italiani

 

Abstract
I valori possono essere studiati a partire da diverse prospettive disciplinari. Il dibattito è aperto circa la possibilità di misurare direttamente i valori o di poterli esclusivamente inferire. Secondo la prospettiva interculturale qui adottata possiamo parlare di orientamenti valoriali che indicano la preferenza della maggior parte della popolazione a scegliere un comportamento rispetto ad un altro e a sottendere nel pensiero e nella comunicazione un’inclinazione rispetto ad un’altra. Verranno passati in rassegna alcuni orientamenti valoriali e di conseguenza la collocazione dell’Italia, nelle sue due macro-dimensioni entro i parametri culturali principali (nord/sud), lungo continua quantitativi e qualitativi offerti dalla ricerca internazionale. Infine saranno messe in luce alcune peculiarità di valori unicamente italiani in un’ottica diacronica, la loro espressione nella comunicazione pragmatica e il loro impatto nelle relazioni internazionali e interculturali.

 

 

Emanuela Cresti

Professore ordinario di Grammatica italiana all’Università di Firenze, presso cui dirige il Laboratorio linguistico LABLITA. E’ stata presidente della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (SILFI). Emanuela Cresti ha sviluppato un quadro teorico per lo studio del parlato e ha coordinato grandi progetti internazionali. Nel 5° Programma quadro UE ha realizzato il corpus multimediale del parlato romanzo C-ORAL-ROM e promuove ora la formazione dell’infrastruttura di rete RIDIRE per l’estrazione dell’informazione linguistica dai domini dell’eccellenza italiana nel mondo.

 

Guiderà il Workshop

Identità storica e prospettive dell’italiano in collaborazione con il prof. Massimo Moneglia

 

Abstract

L’italiano e le altre lingue rapporti storici. L’italiano come lingua di cultura in Europa e nel mondo. Le risorse linguistiche dell’italiano nella società dell’informazione. Le parole chiave dell’italiano nell’infrastruttura di sostegno linguistico RIDIRE.

 

 

Stefano Galli

Ricercatore di Storia delle Dottrine Politiche nel Dipartimento di Storia della Società e delle Istituzioni della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Milano, dove insegna Storia della comunicazione politica; in questo Anno Accademico insegna anche Storia delle Dottrine Politiche nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo dell’Università degli Studi di Siena. Le sue ricerche e le sue numerose pubblicazioni, apparse in Italia e all’estero, riguardano il pensiero politico italiano ed europeo tra il XVIII e il XX secolo, con particolare attenzione ai temi dell’illuminismo e del giusnaturalismo, del costituzionalismo e del federalismo, del nazionalismo e dell’irredentismo. È socio dell’Accademia degli Agiati di Rovereto.

 

Guiderà il Workshop

Il peso della memoria storica e l'identità culturale italiana

 

Abstract

Il tema dell’identità italiana è al centro dei più recenti orientamenti storiografici e politologici da almeno una decina d’anni, vale a dire dalla fine della Prima repubblica e dal conseguente avvìo della lunga transizione verso la Seconda. Non è un caso che il dibattito si sia acceso in questa fase cruciale della storia repubblicana. Dal punto di vista dottrinario, infatti, è lo Stato – con le sue strutture e i suoi apparati – che genera e favorisce lo sviluppo della consapevolezza nazionale. Sul finire del Novecento, l’emergere – per effetto di circostanze interne, ma anche per fattori esterni – dell’endemica debolezza di una costruzione nazionale labile e sfilacciata ha condotto a un generalizzato ripensamento degli elementi fondamentali di un’identità italiana ormai sbiadita e appannata.
Tra gli elementi essenziali della consapevolezza nazionale e, dunque, dell’identità italiana c’è la storia, cioè l’idea di un passato – e della sua memoria – comune, che tuttavia non impone i suoi valori e i suoi fini in modo soverchiante al nostro presente, ma porta alla riscoperta della fisionomia dello spirito collettivo. L’aveva affermato Benedetto Croce che il «carattere», come si diceva nel Settecento, vale a dire l’identità di un popolo è «la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia». La storia è il racconto autobiografico di una nazione, una forma di autorappresentazione rivolta, anzitutto, alla comunità politica che la costituisce. Sulla base di questo presupposto si possono distinguere tre grandi costruzioni identitarie che hanno inciso e condizionato la memoria storica nella cultura italiana e il suo «sguardo all’indietro»: una sensibiltà patriottica ha contraddistinto il Risorgimento; una sensibilità nazionalista ha contraddistinto il Fascismo; una sensibilità democratica ha contraddistinto la Repubblica.
Il percorso attraverso queste tre costruzioni identitarie e la loro approfondita analisi, a partire dalle origini tardo settecentesche dell’idea dell’Italia, rivelerà tuttavia la sostanza di un’identità italiana «melliflua», come l’ha definita Giorgio Rumi: «Il buonismo storiografico, con la rinuncia a distinguere tra vinti e vincitori, a penetrare tra i valori in conflitto, a spiegare il senso delle alternative volta a volta presenti, si fa speculare all’uso giudiziario della ricostruzione storica. La mossa è fatale e l’incapacità di dare a ciascuno il suo […] favorisce un’identità melliflua». Tra buonismo e giustizialismo, insomma, la rivisitazione storica, in ogni epoca, ha creato questa identità incerta e ondivaga; un’identità storica e culturale che ha profondamente segnato l’immagine di sé degli italiani soprattutto per il fatto che non sempre si è registrata una sovrapposizione e una coincidenza tra l’identità nazionale e l’identità italiana. Anzi, l’ingresso del Paese nella modernità – con la nascita dello Stato unitario – ha portato rimozione in blocco, quando non alla negazione della sua stessa storia. Che è storia di divisioni e di contrasti, di rivalità e di conflitti, oltre quegli ideali patriottici, nazionali e democratici, che hanno caratterizzato il Risorgimento, il Fascismo e la Repubblica.

 


Francesca Gobbo

Docente di processi educativi nelle società multiculturali e di antropologia dell'educazione all’Università di Torino. Insegna e fa ricerca su temi culturali ed educativi, che caratterizzano oggi le società complesse occidentali, attraverso un approccio comparativo e interdisciplinare che combina la filosofia dell’educazione con le prospettive dell’antropologia culturale e dell’antropologia dell’educazione.


Guiderà il Workshop

L'educazione alle differenze. L’attenzione alle differenze.


Abstract
Quando, circa 25 anni fa, in Europa e in Italia pedagogisti ed operatori educativi cominciarono a parlare di intercultura, e dunque di differenze culturali come valore e come risorsa educativa, sottolineavano quella svolta pedagogica ricordando come le differenze fossero state, fino a poco prima, disconosciute dalle teorie educative, mentre la pratica scolastica le escludeva (escludendo così anche chi si presentava o era percepito come differente) o le cancellava, giudicando tale risultato come un successo (soprattutto in campo linguistico). Nella tacita logica assimilativa di quegli anni (ma soltanto di quegli anni?), si potrebbe dire che le differenze erano da educare (l’educazione delle differenze) invece che educatrici (l’educazione delle differenze).
Questo spostamento di accento, e di prospettiva, era la conseguenza di una precedente svolta educativa, epistemologica e politica, che era stata impressa dai movimenti di cittadini di minoranza negli Stati Uniti, alla fine degli anni sessanta, e che diede quasi subito luogo al “multiculturalismo”. Con la loro domanda di riconoscimento della propria storia di differenza culturale (e dunque anche della relazione storica tra maggioranza e minoranze) e di auto-determinazione, tali cittadini interpellavano bruscamente le istituzioni e le pratiche scolastiche, nonché le teorie e le “buone pratiche” (benché non si chiamassero così) che, fino ad allora, avevano interpretato e risposto alle differenze nell’esperienza educativa (teorie e pratiche che periodicamente riaffiorano nel panorama della ricerca americana sul successo scolastico delle minoranze).
Che all’origine del multiculturalismo , dell’educazione multiculturale e della discussione critica che ne è seguita vi siano stati cittadini è non soltanto significativo, ma evidenzia anche le differenti circostanze e modalità con cui in Europa, e in Italia, si è formata la prospettiva interculturale. Quest’ultima appare fondamentalmente connessa alle trasformazioni della popolazione, e di quella scolastica in particolare, in seguito ai flussi migratori e ai ricongiungimenti familiari, con la conseguenza che l’attenzione educativa alle differenze risulta un’esigenza recente, contingente, se non emergenziale, il cui senso deve oggi confrontarsi con ulteriori cambiamenti socio-culturali e con le metafore (quali il meticciato o l’ibridazione) che intendono interpretarli.
Pedagogisti come Dewey e Kallen indubbiamente affrontarono, nella prima parte del secolo XX, la questione delle differenze rilevabili nella scuola, e nella società, per le migrazioni e i cambiamenti sociali, ma gli eventi successivi e più recenti, incentrati sul problematico legame tra educazione e differenze, invitano a chiederci (e anticipo così le conclusioni cui giungo attraverso le mie ricerche e partecipazione ai dibattiti internazionali sul tema “intercultura”) se il contributo educativo che le differenze (culturali, linguistiche, socio-economiche, religiose, etniche) possono dare non sia quello di riportare in primo piano la questione della giustizia sociale o dell’equità, come sembra risultare quando l’attenzione degli insegnanti e dei pedagogisti si amplia ad includere le cosiddette differenze interne, e i processi di esclusione ed esclusione dei diversi alunni e studenti.



Susanna Mantovani

Pro-rettore vicario dell’Università di Milano Bicocca, dove insegna psicopedagogia nella Facoltà di Scienze della Formazione. Da molti anni studia la prima infanzia in contesti familiari e istituzionali ed è impegnata nella formazione di educatori e insegnanti. E’ consulente scientifica dell'OCSE per il progetto "Early Childhood Education and Child Care Policy”.


Guiderà il Workshop

L'identità italiana che si forma a scuola

 

 

Massimo Moneglia

Docente di Linguistica generale all’Università di Firenze dove presiede il Corso di Laurea Magistrale in Metodologie informatiche per le discipline umanistiche. Moneglia è specialista di Semantica e Linguistica dei corpora e ha una lunga esperienza nella formazione delle basi di dati linguistiche. E stato manager scientifico in progetti europei dedicati alla formazione di tecnologie abilitanti e risorse del linguaggio. Attualmente si occupa della formazione e del processamento del web corpus italiano RIDIRE.

 

Guiderà il Workshop

Identità storica e prospettive dell’italiano in collaborazione con la prof.ssa Emanuela Cresti

 

 

Nando Pagnoncelli

Amministratore Delegato di IPSOS e Vicepresidente dell’ASSIRM (Associazione tra Istituti di Ricerche di Mercato, sondaggi d’opinione, ricerca sociale). E’ noto per le numerose ricerche e per i sondaggi che il suo istituto conduce da anni anche all’interno di popolari trasmissioni televisive.

 

Presenterà i risultati di una ricerca sull’immagine dell’Italia nella stampa estera

 

 

Massimo Palumbo

Laureato in Scienze Politiche all'Università di Messina, dal 1988 al 1996 ha lavorato a Palermo come economista al Servizio Studi del Banco di Sicilia. E' giornalista pubblicista dal 1991. Funzionario al Segretariato Generale del Parlamento europeo, ha vissuto 7 anni a Bruxelles (di cui tre lavorando alla commissione cultura). Attualmente a Roma, è il Responsabile delle relazioni pubbliche dell'Ufficio d'informazione per l'Italia del Parlamento europeo. Nel 2008 si è occupato, in particolare, delle iniziative per l'Anno europeo del dialogo interculturale.

 


Guiderà il Workshop

L'influenza dell'Europa sui comportamenti degli italiani

 

Abstract

L'Unione europea ha cambiato il modo di vivere e di pensare degli Italiani? Certamente sì, così come la crescente interazione a livello intraeuropeo ha influenzato anche il modo di vivere degli altri cittadini, presso i quali lo stile di vita italiano è generalmente apprezzato e per certi aspetti "seguito", soprattutto se si pensa ai modelli di consumo legati al tempo libero.

Questo processo di scambio e di reciproca influenza, che riguarda primariamente il costume e la cultura, sarà analizzato attraverso un rapido excursus del processo d'integrazione europeo, mettendo l'accento in particolare su tre temi: le lingue, gli scambi universitari (in particolare Erasmus) e l'immigrazione.

Il primo tema è fondamentale per capire l'evoluzione del continente e del proceso d'integrazione europea, soprattutto in riferimento alla diversità culturale dell'Europa. Il secondo è un esempio significativo di quanto e come un intervento comunitario mirato sia stato capace di incidere sul mondo degli studenti universitari dell'UE e più in generale sulle società europee. Il terzo tema, dedicato ai flussi migratori, permette di guardare ai grandi mutamenti economici e sociali che hanno riguardato l'Europa e, l'Italia in particolare, dal dopoguerra all'era della globalizzazione, rimescolando le carte dell'identità culturale.

 

 

Stefano Palumbo

È Responsabile del Settore Ricerca e docente della S3.Studium. Ha collaborato come ri-cercatore e formatore con numerose aziende e amministrazioni pubbliche. Recentemen-te ha curato numerose indagini previsionali (inerenti il sistema Italia, il terziario, il mer-cato del lavoro, i trasporti, i consumi, le professioni). Dal 2001 svolge attività di ricerca socio-economica anche in Brasile.

È autore di numerosi articoli e saggi su periodici e volumi collettivi. Ha pubblicato nu-merosi volumi, fra cui si segnalano: La formazione valutata (1992) e Il castello infran-to. Volkswagen: una risposta allo sviluppo senza lavoro (1996) e i più recenti Vicenza 2015. Le prospettive economiche, politiche e sociali per i prossimi sette anni (2008) e Delphi 2008. Il futuro dell’Italia in Europa (2008). È redattore della rivista NEXT. Strumenti per l’innovazione e vicedirettore dell’edizione brasiliana della stessa rivista.

 

Presenterà i risultati di una ricerca sull’immagine dell’Italia all'estero condotta da Domenico De Masi

 

Abstract

L’indagine Delphi realizzata da S3.Studium ha analizzato la maniera in cui tutte le componenti dell’immagine del nostro Paese contribuiranno, nel prossimo futuro, a delineare la nostra collocazione internazionale: il posizionamento economico, l’appetibilità come luogo di visite turistiche, il riconoscimento del nostro ruolo geopolitico, etc. La proiezione sul futuro è sembrata tanto più necessaria in quanto l’immagine di un paese nel mondo è fortemente influenzata da stereotipi consolidati, assieme e a volte di più dei suoi comportamenti e conseguimenti presenti. La necessità di distaccarsi dagli stereotipi ha dunque suggerito un approccio fortemente focalizzato sulla relazione fra l’immagine e le tendenze al cambiamento che influenzano la società, l’economia e la politica a livello mondiale.
Per rafforzare la credibilità del progetto, inoltre, sono state adottate tre soluzioni metodologiche:
- affrontare esplicitamente il tema degli stereotipi, per ridurre al minimo il rischio di sovrapporli ai comportamenti effettivi;
- escludere il più possibile dall’analisi gli elementi che rappresentano il patrimonio storico dell’Italia (posizione geografica, risorse paesaggistiche, patrimonio di monumenti e beni culturali di vario genere, struttura paesistica, etc.), onde evitare di ripetere concetti già conosciuti, reali e certamente rilevanti, ma poco utili a comprendere come il problema
dell’immagine si porrà in futuro e come possa essere influenzato dalle scelte del presente;
- consultare, anziché semplicemente un gruppo di osservatori esteri, sia pur qualificati, del nostro Paese, proprio coloro che più contribuiscono alla creazione e “manutenzione” della nostra immagine all’estero, vale a dire i corrispondenti dei media internazionali presenti in Italia.


Il quadro emergente tratta i seguenti argomenti:
- l'Italia come mercato;
- le esportazioni italiane;
- il turismo in Italia;
- scienza, ricerca e ambiente;
- l'Italia e le migrazioni;
- l'immagine della politica;
- società e cultura italiane.

 

 

Chiara Saraceno

Già professore ordinario di sociologia della famiglia presso la Facoltà di scienze politiche della Università di Torino. Attualmente è professore di ricerca al Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. Si occupa di temi che riguardano la famiglia, i rapporti tra le generazioni, i rapporti e le disuguaglianze di genere, la povertà e sistemi di welfare.

 

Guiderà il Workshop

Cambiamenti del concetto di famiglia nella cultura italiana

 

Abstract

In Italia negli ultimi anni ha ripreso con molto vigore il dibattito su che cosa sia la famiglia e su chi abbia il diritto di definirla e normarla. Il riaccendersi, anche molto aspro, di questo dibattito corrisponde alla percezione che, contrariamente ad una immutabilità dei modi di fare famiglia, anche in Italia sono in atto cambiamenti nei modi sia di realizzare che di pensare le relazioni famigliari, sia per motivi demografici che per motivi culturali. L’invecchiamento della popolazione è innanzittutto invecchiamento delle parentele, così che ci sono più nonni che nipoti. Ciò per certi versi rafforza una caratteristica tipica della famiglia italiana: la rilevanza della parentela. L’aumento nella occupazione femminile ha reso normale (anche se non per le politiche sociali) la figura della madre lavoratrice e imposto una almeno parziale riorganizzazione dei ritmi famigliari e della divisione del lavoro tra uomini e donne. Ciò, insieme all’attenzione per i diritti individuali, anche dei minori, ha modificato i rapporti di potere entro la famiglia. L’instabilità coniugale ha reso reversibili i rapporti di coppia e allentato il nesso tra rapporti di coppia e genitorialità. La sessualità anche per le donne non è più confinata al matrimonio e si è svincolata dalla riproduzione. Convivere senza sposarsi è divenuto una prassi diffusa ancorché in misura minore che in altri paesi europei. Un matrimonio su quattro tra quelli più recenti ormai è preceduto da una convivenza. Conviventi eterosessuali e omosessuali rivendicano la dignità e la responsabilità dei loro rapporti. Questi mutamenti sono avvenuti anche in altri paesi che, a differenza dell’Italia, ne hanno preso atto anche a livello normativo e delle politiche sociali. Non è tuttavia solo il confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea e con i loro modi di prendere atto della pluralizzazione dei modi di fare famiglia a mettere in dubbio l’esistenza di un unico modo giusto e naturale di fare famiglia. Anche il confronto con tradizioni e comportamenti di paesi extraeuropei segnala la necessità di argomentare le proprie ragioni non in termini di naturalità e verità, ma di rispetto per la libertà e la dignità di ciascuno e la capacità di assumere responsabilità verso altri.

 


Roberto Scarpinato

Procuratore aggiunto antimafia di Palermo, ha recentemente pubblicato "Il ritorno del principe" con Saverio Lodato presso le Edizioni Chiarelettere: un'analisi politica, sociale e storica della criminalità al potere, ovvero del poterere criminale in Italia.

 

Guiderà il Workshop

Criminalità e potere

 

Abstract

L'ottica con la quale la nostra storia nazionale viene esaminata è implacabile: esamina il fenomeno della corruzione italiana in una prospettiva storica facendone una costante della nostra vita nazionale. La tesi di fondo è che il nostro Paese non ha mai conosciuto la modernità ovvero l'epoca in cui l'esercizio della violenza viene delegato in esclusiva allo Stato che la esercita in nome di tutti. Una violenza diffusa di tipo feudale continua a caratterizzare la penisola. Si spiegano così le varie mafie che soffocano la vita economica ormai non più solo nel Mezzogiorno e il dilagare della corruzione che la cronaca ci mostra con frequenza ormai quotidiana.

 

 

Lorenzo Scurati

E' il regista del documentario "La stagione dell'amore" che verrà presentato nel seminario da lui guidato. Ha una lunga esperienza di cameraman e regista ed ha lavorato - tra l'altro - ai film "Parole sante" e "Un giorno perfetto" ed alla trasmissione televisiva Annozero.

 

Guiderà il Workshop

Gli italiani e l'amore

 

Abstract

In questo workshop verrà visionato il documentario "La stagione dell'amore" (52 min.) e ne verrà discusso il contenuto.

 

La rappresentazione dell’amore, il racconto pubblico delle relazioni intime che le italiane e gli italiani offrono, risulta ancora balbettante, sfasato e in parte ambiguo. Nonostante in questi quarant’anni si sia quasi definitivamente allentata la morsa stringente del moralismo cattolico e l’amore, in qualsiasi sua forma, non sia più oggetto di scandalo, tranne, forse, che nella forma del ‘vero amore’. All’uscita di una scuola del centro di Milano, o su una spiaggia toscana, come nella piazza del family day, i giovani italiani si confrontano sì apertamente su temi come fedeltà e tradimento, concepimento e contraccezione, coppie di fatto e unità familiare, inibizioni e varietà delle pratiche sessuali, ma lo fanno non senza un certo imbarazzo, quasi trattenuti da una riserva, un non detto, forse da un desiderio inesaudito. Così, alla fine del nostro viaggio, sentiamo che qualcosa manca, qualcosa che abbiamo l’impressione di aver perso lungo la strada, giù lungo un viadotto di questo nostro Paese stremato, devastato dalle fiamme e fiaccato dal peso di una storia vissuta troppe volte dal lato sbagliato. In piena estate, nel cuore della stagione della nudità dei corpi, quando ormai niente ci scandalizza e ogni cosa sembra alla portata della nostra indifferenza, una domanda ci rincorre nelle voci dei tanti uomini e donne che ci hanno parlato d’amore e di sesso: siamo ancora capaci di bruciare forte, come i boschi di pini marittimi appesi alle scogliere delle coste del sud devastate dagli incendi? Riusciamo ancora a struggerci e a farci distruggere dall’amore?

 


Suzanne Stewart-Steinberg

L'autrice del notissimo saggio "The Pinocchio effect - on making Italians 1860-1920" (University of Chicago Press 2007) e docente di studi italiani e letteratura comparata alla Brown University. Ha pubblicato libri e tenuto corsi alle Università di Cornell e di Brown su vari aspetti della cultura italiana del XX secolo. In "The Pinocchio effect" analizza un periodo cruciale della storia dell'identità italiana: i sessant'anni compresi tra la proclamazione del Regno di'Italia e la marcia su Roma, dominati dallo sforzo, come disse Massimo D'Azeglio di "fare gli italiani".

 

Presenterà la relazione introduttiva del convegno su:

L'effetto Pinocchio - il dualismo dell'identità italiana tra l'Unità e l'avvento del Fascismo

 

Abstract

Dopo un'introduzione sulle ragioni che l'hanno portata ad occuparsi di studi italiani e sulla caratteristica di questi studi all'interno dell'Università americana, Suzanne Stewart-Steinberg si sofferma ad illustrare le opere di alcuni autori italiani significativi, tra la fine del risorgimento e la prima guerra mondiale: Scipio Sighele, Matilde Serao, Edmondo De Amicis, Cesare Lombroso, Maria Montessori, nei quali mette in luce gli aspetti di un dualismo fondamentale che considera elemento costitutivo dell'identità italiana, come si riflette anche nel famoso personaggio di Collodi, diviso tra burattino eterodiretto ed essere umano autonomo.

 

 

Roberto Toscano

Ambasciatore d’Italia a New Delhi, ha ricoperto numerosi incarichi presso il Ministero degli Affari Esteri a Roma ed in varie sedi estere, tra cui Santiago del Cile, Mosca, Madrid, Ginevra e Teheran. E’ autore di saggi e volumi, tra cui ricordiamo “La violenza, le regole” edito da Einaudi e “Il volto del nemico: la sfida sull’etica delle relazioni internazionali”, edito da Guerini e Associati. E’ presidente della Fondazione Intercultura.

 

Concluderà i lavori del convegno

 

 

Umberto Vattani

Presidente dell'Istituto Nazionale per il Commercio Estero fa parte di numerosi istituti accademici ed organizzazioni internazionali.Ha ricoperto incarichi di rilievo nelle ambasciate italiane a Londra, all’Unione Europea, all' ONU e all'OCSE, ed è stato Capo di Gabinetto e Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri.

 

Guiderà il Workshop

Globalizzazione economica e cultura italiana

 

Abstract

L'italiano è lingua di cultura. Civilizzazione romana, Rinascimento, presenza della Chiesa cattolica sono esperienze storiche più facilmente avvicinabili attraverso la lingua italiana. Ma sono sempre di più le persone che studiano la nostra lingua per scopi economici, scientifici, turistici. Ormai da tempo essa si accosta a una economia tra le prime al mondo, largamente presente nei mercati internazionali con i suoi prodotti. L’italiano come lingua del lavoro e degli affari sta guadagnando un suo ruolo. Basti pensare alla moda, un’attività intimamente collegata alla sfera culturale che rappresenta uno dei motivi per cui l’Italia è più nota nel mondo. La penetrazione delle aziende italiane all'estero ha portato sui mercati internazionali l’esigenza di padroneggiare anche l’italiano come lingua straniera. E’ una situazione che va sfruttata. Nell’ambito della promozione del sistema paese, imprese ed istituzioni culturali possono svolgere un importante ruolo.
La rete degli Uffici ICE, quella degli Istituti Italiani di Cultura, così come le Università per Stranieri presenti sul territorio nazionale, rappresentano dunque un’opportunità di sostegno alla promozione del nostro sistema industriale, in quanto centri di diffusione dell’identità italiana.

 

 

Massimo Vedovelli

Rettore dell'Università per Stranieri di Siena, dove insegna anche glottodidattica. Si occupa da lungo tempo di problemi linguistici degli immigrati stranieri in Italia, di linguaggi settoriali e scientifici, di diffusione dell’italiano all'estero. Ha partecipato a vari progetti di ricerca di interesse nazionale tra cui la stesura del primo lessico di frequenza della lingua italiana parlata. È membro della Società di Linguistica italiana.

 

Guiderà il Workshop

Plurilinguismo in Italia

 

Abstract

1) Lo spazio linguistico italiano: da tripolare a quadripolare (italiano, dialetti, minoranze di vecchio insediamento, nuove minoranze)

2) Il neoplurilinguismo delle lingue immigrate. Condizioni di stanzialità di una lingua di immigrati. Ricognizione quantitativa.

3) Standardizzazione e neoplurilinguismo: si ripropone la dialettica che storicamente ha contraddistinto l'Italia?

4) Il neoplurilinguismo e le istituzioni.

5) Il neoplurilinguismo come banco di prova di una politica linguistica nazionale 'non-westfaliana'.

6) Condizioni sociali e istituzionali per il neoplurilinguismo come fattore di sviluppo dell'intero spazio linguistico italiano."

 

Gustavo Zagrebelsky

Giudice della Corte Costituzionale dal 1995, ne è stato presidente sino alla scadenza del suo mandato nel 2004. E' attualmente docente di Diritto Costituzionale presso l'Università di Torino e collabora con importanti quotidiani italiani. E' socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Negli ultimi anni è ripetutamente intervenuto nel dibattito pubblico italiano sulla laicità dello Stato e lo spirito concordatario.

 

 

Guiderà il Workshop

Chiesa e società laica